quarta-feira, 22 de outubro de 2014

Ora inizia un anno drammatico per la Chiesa …

Análise contundente de Antonio Socci, uma “Revolução de Outubro” dentro da Igreja, um autoritarismo do papa que se apresentou “apenas” como “bispo de Roma” e caos como método maquiavélico de resultados ainda desconhecidos.

21 OTTOBRE 2014 / IN NEWS
La “rivoluzione d’ottobre” del Sinodo è fallita e con esso è finita la prima parte del pontificato bergogliano. Quale sarà la seconda?
Il discorso conclusivo fatto sabato da Francesco lo fa intuire. Forse quello che inizia sarà uno degli anni più drammatici e confusi della storia della Chiesa.
 MACHIAVELLISMO
Anzitutto papa Bergoglio ha scaricato sul cardinale Kasper (e compagnia) la sconfitta, dopo averlo usato come testa d’ariete per sfondare la resistenza dei cardinali ortodossi, sia al Concistoro di febbraio che al Sinodo.
La maggioranza ha bocciato la “rivoluzione” che Kasper, per volere di Bergoglio, ha prospettato, quindi il papa ha preso le distanze dalle sue tesi squalificandole come “buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici”.
Peccato che proprio su queste assurde tesi kasperiane si sia fatta spaccare traumaticamente la Chiesa per mesi e per mesi quelle tesi siano state fatte passare sui media come la novità del pontificato di Bergoglio, senza nessuna smentita.
Peccato che sia stato papa Francesco ad imporre lo stesso Kasper come relatore unico al Concistoro di febbraio e a elogiarne le tesi come “teologia in ginocchio” (Kasper ha sempre dichiarato, senza essere smentito, che aveva fatto tutto d’accordo col papa).
Fior di intellettuali e giornalisti cattolici un tempo ratzingeriani e ora smaniosi di ricollocazione hanno abbracciato e applaudito le rivoluzionarie tesi kasperiane. Come pure tutti i giornali laici.
Vedere adesso la stroncatura che ne fa Bergoglio dovrebbe essere umiliante per tutti questi papalini frettolosi. E avrebbe dovuto indurre anche i giornaloni laici – tipo “Repubblica” – a riconoscere di aver sbagliato tutto.
Invece nessuno lo ha fatto. Evidentemente perché tutti ritengono che l’imbarazzato smarcamento tardivo di Bergoglio dalla tesi perdente è solo tattico.
E constatano che dal Concistoro di febbraio e dal Sinodo di ottobre a uscire sconfitto e “sfiduciato” è lo stesso Bergoglio.
Certo, ci sono ancora gli ultimi “giapponesi” i quali sottolineano come sugli argomenti controversi della comunione ai divorziati risposati e degli omosessuali (punti 52, 53 e 55), pur non essendoci stati i due terzi dei voti (quindi pur risultando bocciati dal Sinodo), c’è tuttavia la maggioranza assoluta e quindi non si tratta di sconfitta. Ma questo argomento è risibile perché quelli erano comunque i testi emendati e corretti, non erano testi “kasperiani” e “fortiani”.
Di fatto la “Relatio post disceptationem”, di metà Sinodo, quella “rivoluzionaria”, è stata bocciata e riscritta. E la “Relatio Synodi” è un altro testo (“più bilanciato, equilibrato e sviluppato”, come ha precisato lo stesso padre Lombardi).
SORPRESA
Dunque l’esito del Sinodo è una vera e propria “sorpresa di Dio” e se papa Bergoglio fosse aperto a tali sorprese prenderebbe atto che non è possibile uno “sbaraccamento” scalfariano del cattolicesimo che finirebbe per travolgere sacramenti, comandamenti e magistero.
Come lui stesso ha detto “questa è la Chiesa, la nostra madre! E quando la Chiesa, nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la forza del ‘sensus fidei’ che viene donato dallo Spirito Santo”.
Dunque perché non riconoscere serenamente quello che dal Sinodo è emerso? Perché non ascoltare il soffio dello Spirito?
In realtà, a quanto pare, il papa argentino non ama queste “sorprese di Dio” che hanno fatto naufragare la sua “rivoluzione” e – secondo alcuni osservatori – sarebbe intenzionato a vincere a tavolino la partita che ha perso sul campo.
CONTRO I CATTOLICI
Lo si evincerebbe dai punti successivi del suo intervento conclusivo. Infatti, ancor prima di prendere le distanze da Kasper, ha liquidato (ancora una volta) come “irrigidimento ostile” nella “lettera” (cioè il Vangelo sine glossa) la posizione dei cattolici che si sono opposti a Kasper.
Ha bollato come “tradizionalisti” e “intellettualisti” coloro che semplicemente hanno ricordato il magistero di sempre della Chiesa, dai Vangeli e da San Paolo fino a Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Ma se i cattolici, apostolici romani che professano la posizione della Chiesa di sempre e di tutti i papi precedenti, per Bergoglio sono da bocciare non è chiaro quale ritiene che sia il suo gregge e il magistero cattolico (è pur vero però che lo stesso Bergoglio a Scalfari ha detto che “Dio non è cattolico”…).
IL PAPA RE
Poi il discorso conclusivo del papa ricorda qual è stato l’argomento che i suoi “avversari” gli hanno opposto, l’argomento vincente: il papa non è padrone del Vangelo, della dottrina, della tradizione e della Chiesa, ma loro servitore. Ne ha preso atto, concordando. Ma ha aggiunto un finale a sorpresa.
Ha detto: “la Chiesa è di Cristo – è la Sua Sposa – e tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come ‘padroni’ ma come ‘servitori’Il Papa, in questo contesto, non è il ‘signore supremo’ ma piuttosto il ‘supremo servitore’ - il ‘servus servorum Dei’il garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo – per volontà di Cristo stesso – il ‘Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli’ (Can. 749) e pur godendo ‘della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa’ (cf. Cann. 331-334)”.
La prima parte di questa citazione smentisce i più fanatici bergogliani che, da media cattolici o laici, nelle settimane scorse avevano teorizzato che il Papa potesse fare quello che voleva anche dei sacramenti (qualcuno era arrivato a definirlo “signore assoluto”).
I nostri lettori ricorderanno che proprio su queste colonne, il 5 ottobre scorso, io lo avevo scritto citando una pagina di Joseph Ratzinger: “Il papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio”.
Mi presi insulti e invettive dei fanatici, come se avessi delegittimato il papa. Ebbene, sabato sera Francesco ha detto la stessa cosa.
Poi ha aggiunto però a sorpresa la citazione del Codice di diritto canonico che gli dà un potere insindacabile su tutti i fedeli e sulla Chiesa universale.
Quel Francesco che si è presentato ostentatamente come “vescovo di Roma” e rifuggiva dalla qualifica di papa, di colpo ha riscoperto le prerogative di potere più pesanti del papa, da papa re.
In effetti già sul Sinodo ha esercitato il suo potere, attraverso la struttura direttiva, per orientarlo e controllarlo, con modalità assai poco sinodali e conciliari. Tanto da suscitare vivaci proteste per l’imbavagliamento.
La stessa sua decisione di far arrivare alle diocesi anche i tre punti che il Sinodo ha bocciato su divorziati risposati e gay, dà la sensazione che se ne infischia del Sinodo stesso e vuole continuare la battaglia (a Roma si dice “nun ce vonno sta”). Ricomincia il caos.
PURGHE
Un osservatore come John Allen ritiene che ora si passi agli “avvvicendamenti”, cioè alle defenestrazioni di coloro che più hanno avversato la rivoluzione Kasper-Bergoglio, a cominciare dai cardinali Burke e Mueller.
Se così fosse quella citazione del Codice significherebbe: “voi mi dite che io non posso toccare la dottrina, ma io vi ricordo che posso decidere le vostre sorti”.
Sarebbe l’inizio di epurazioni e purghe davvero disdicevoli, che sconcerterebbero un popolo cristiano già sotto choc.
La confusione in cui la Chiesa si è trovata negli ultimi mesi diventerebbe davvero drammatica. E’ questo che si vuole?
Allen ha riportato il commento postsinodale di un cardinale: “Non penso (che Bergoglio) sia un grande stratega… pensavo ci fosse un piano dietro il caos… ora mi chiedo se non sia il caos il suo piano”.
C’è solo da sperare in una sorpresa di Dio: che papa Bergoglio inverta la sua direzione.
Antonio Socci
Da “Libero”, 21 ottobre 2014

segunda-feira, 20 de outubro de 2014

Bento XVI: obediência

Segundo o “La Repubblica”, frente aos perigos sinodais, os “conservadores” teriam buscado o apoio de Bento XVI para afrontar Francisco. Mas, o papa emérito não se deixou instrumentalizar. De acordo com o jornal, reconheceu a autoridade de Francisco e teria proposto ajuda teológica ao novo papa. Diante do que se vê ocorrer sob o pontificado de Francisco, a tentação em clamar pela ordem precedente é grande. Bento XVI parece assumir, a meu ver, uma visão mística, de confiança na Providência, colaborando como pode.
Isto é muito interessante, o teólogo e professor se fazem presentes, evita, assim, uma Igreja bicéfala, evita um cisma e ainda se propõe a ensinar. Fico pensando o quanto o pontificado de são João Paulo II se beneficiou por tê-lo sempre ao seu lado. Francisco deveria valorizá-lo mais, não apenas o “vovô” que aconselha, mas, veja, Bento XVI já se mostrou disponível a ensinar, de modo particular, teologia. Francisco só teria a ganhar. 


sexta-feira, 17 de outubro de 2014

"Francisquialismo" questionado

Já havia mencionado aqui e aqui o caráter populista do pontificado de Francisco, uma espécie de "Francisquialismo". Parece que eu não fui o único a perceber semelhanças entre a atuação do papa Francisco e os típicos regimes latino-americanos do período de urbanização e industrialização da América Latina. Os bispos, reunidos em sínodo, deixaram uma clara mensagem, ao que tudo indica, direcionada ao papa: criticam o que um grupo de discussão chamou de “busca por um populismo complacente que silencia e amordaça”.

Nem mesmo a mediada de nomear o Cardeal Napier para a Comissão para elaboração do Relatório Final do Sínodo parece ter acalmado os bispos. Tem ficado cada vez mais claro que vozes se erguerão contra o autoritarismo papal. Os bilhetinhos do mesmo, talvez expressem justamente isso. Teria ele percebido que mesmo na iminência de serem punidos, muitos irão fazer oposição à ruína da doutrina?



O Frates in Unum nos dá os detalhes:

Relatórios dos grupos de discussão do Sínodo querem mais contexto doutrinal e linguagem “profética” no documento final.

Por John Thavis, 16 de outubro de 2014| Tradução: Fabiano Rollim – Fratres in Unum.com: Relatórios dos 10 grupos de discussão do Sínodo dos Bispos estão surgindo [ndt: foram publicadas ontem], e muitos deles se opõem seriamente a um relatório preliminar – a relatio post disceptationem – que há apenas três dias parecia inaugurar um novo capítulo na tentativa de aproximar a Igreja de casais que coabitam sem ter o sacramento do matrimônio, de casais de pessoas divorciadas e de “casais” gays.

Esses relatórios, vistos como um todo, representam um verdadeiro teste para o Evangelho da “misericórdia” pregado pelo Papa Francisco, porque não apenas articulam o desejo por uma qualificação doutrinal no documento do sínodo, mas também criticam o que um grupo de discussão chamou de “busca por um populismo complacente que silencia e amordaça” o que a Igreja ensina sobre o casamento e a família. Mais de uma pessoa observou que o termo “populismo complacente” talvez seja direcionado em parte ao próprio Papa Francisco.

Os relatórios foram apresentados à assembleia do Sínodo após quatro dias de discussão, juntamente com várias centenas de propostas de correções para a relatio preliminar. É certo que tais relatórios refletem um processo estabelecido para melhorar a relatio, de forma que era esperado que se encontrassem pedidos de esclarecimentos, muitos dos quais parecendo ser apoiados pela maioria, e não endossos acalorados do texto.

Alguns dos relatórios, em certos pontos, até fazem eco a algo da linguagem da relatio — por exemplo no uso de uma nova linguagem e de um tom mais convidativo. Mas a oposição não é pequena. Vários grupos, por exemplo, propuseram que seja reescrita a segunda seção da relatio, aquela que chamou a atenção de todos com o seu argumento de que a Igreja deve, por exemplo, aceitar a realidade do casamento civil e da coabitação e focar nos valores positivos que podem ser encontrados nessas uniões. Mais especificamente sobre a “lei da gradualidade” — o princípio de que a Igreja deve se aproximar daqueles que não aceitam plenamente seus ensinamentos, valorizar essas pessoas e acompanhá-las — dois grupos disseram que o conceito não pode ser aplicado a essas situações. Vários outros grupos questionaram sua aplicação. Outros questionaram a tentativa que é feita na relatio de aproveitar o princípio enunciado pelo Vaticano II da busca por “elementos positivos” fora das estruturas da Igreja e aplicá-lo para o caso de uniões irregulares fora do sacramento do matrimônio.

Quase todos os grupos expressaram o desejo de que o documento final do sínodo apresente uma imagem mais positiva do sacramento do matrimônio, expresse explicitamente os ensinamentos da Igreja e redescubra a voz “profética” da Igreja em criticar as ameaças modernas à família tradicional.

Um grupo disse que seus membros estavam divididos sobre a questão da linguagem. Alguns consideraram “indispensável” que o sínodo expresse seus ensinamentos sobre o casamento, a família e a sexualidade “sem hesitar em empregar as categorias de ‘pecado’, ‘adultério’ e ‘conversão’ no que diz respeito a situações que objetivamente contrastam com o Evangelho.” Outros recomendaram uma linguagem mais encorajadora e menos julgadora como uma chave para a evangelização nos dias de hoje.

Em relação à questão da readmissão de católicos divorciados e recasados à Comunhão, houve opiniões misturadas nos relatórios, com alguns endossando a possibilidade, alguns a rejeitando e outros pedindo um estudo mais aprofundado. Pouco foi dito nesses relatórios sobre a simplificação do processo de declaração de nulidade matrimonial, uma ideia que aparentemente tinha um forte apoio do sínodo, apesar de um grupo ter feito uma objeção à ideia de um processo de nulificação “administrativo” conduzido por bispos locais.

Os relatórios opuseram-se ao que chamaram de uma ênfase exagerada nos elementos positivos que se encontram fora do casamento. Um grupo de língua inglesa disse que “onde a relatio parecia estar sugerindo que o sexo fora do casamento ou a coabitação poderiam ser permitidos, tentamos mostrar por que tais estilos de vida não levam à realização humana.” Quanto às “sementes de verdade e bondade” que a relatio disse que podem ser encontradas em uniões irregulares, este grupo disse que o sínodo deve enfatizar que tais “sementes” são encontradas nas pessoas envolvidas, não em seus relacionamentos. “Acreditamos que se deixarmos implícito que certos estilos de vida são aceitáveis, certos pais zelosos e preocupados poderiam facilmente dizer: ‘Por que temos tentado tão arduamente encorajar nossos filhos e filhas a viver o Evangelho e a abraçar o ensinamento da Igreja?’”, disse o relatório.

Mais de um grupo disse que houve um risco de mal-entendido na seção do documento preliminar que trata sobre a “acolhida de pessoas homossexuais.” Um grupo de língua francesa disse que ao mesmo tempo em que a discriminação contra pessoas homossexuais deve ser denunciada, “isso não significa que a Igreja deva legitimar as práticas homossexuais e muito menos reconhecer o chamado ‘casamento’ homossexual.” Um segundo grupo francês tocou num ponto similar dizendo que “acompanhar pastoralmente uma pessoa não significa validar nem uma forma de sexualidade nem um estilo de vida.” Um grupo de língua espanhola disse que o termo “pessoas homossexuais” parecia usar a sexualidade como a chave da identidade dessas pessoas, e que seria mais exato falar em “pessoas com tendências homossexuais.”

Um relatório em língua inglesa disse que a Igreja tem de acolher “sem julgamento ou condenação” aqueles que vivem em uniões irregulares, mas de forma que não enfraqueça o matrimônio sacramental ou “deixe a impressão de que todas as uniões são iguais.” Outro grupo falou do acolhimento a tais pessoas, mas também de levá-las à “conversão” e ao sacramento do matrimônio.


quinta-feira, 16 de outubro de 2014

O discurso mole e bonitinho, mas perigosíssimo.

“Cardeal contra cardeal” e a “A apostasia virá do alto, do cimo da Igreja” são duas frases que não saem da minha cabeça ultimamente.

Quanto do Vaticano II não foi decidido diante de interpretações empolgadas da mídia que, por sua vez, levou consigo um grande número de bispos, também empolgado com “novidades”? Essa palavra, às vezes, causa-me temor só de ouvi-la. Na esteira do Concílio, as novidades foram sendo incorporadas ao sabor de ventos estranhos ao catolicismo, de modo particular na liturgia, que expressa de forma externa o que a Igreja professa enquanto fé. Dom Aloísio Roque Oppermann, scj, arcebispo de Uberaba desde 1996 e falecido este ano, fala de uma falta de preparo disciplinar e desobediência na aplicação do que era discutido no Concílio e propagado pela imprensa muito antes de ser aprovado.

Durante a sessão do Concílio Vaticano II, em outubro  de 1963, a maioria dos Padres novos (entre os quais eu me encontrava), procurou aplicar na prática o que se aprovava em Roma. Nós líamos no jornal hoje, o que tinha sido votado pelos Bispos, a respeito da Liturgia, e amanhã já aplicávamos. Era uma grande falta de preparo disciplinar. Não esperávamos a aprovação do Papa , nem a promulgação da “Sacrossanctum Concilium”, nem muito menos a sua regulamentação. Posso, no entanto, garantir que fazíamos isso, não movidos pela má fé.  Naquela época vigia uma espécie de “vácuo” de regras claras [...]” (Fonte: CNBB).

E, agora, temos o Sínodo, que além de empolgação midiática tem evidenciado muito mais problemáticas. Os cardeis africanos que alertaram para o perigo de um afrouxamento moral são ridicularizados por Kasper, há a nomeação apenas de cardeais “progressistas” (palavra estranha que é usada definir muita coisa, mas muita mesmo) para estar à frente do relatório, há suspeitas de que os documentos apresentados à imprensa sobre as discussões do Sínodo já estavam previamente preparados, há um claro distanciamento, para dizer o mínimo, sobre a doutrina da Igreja acerca da família e das relações “homoafetivas”.

Todo magistério de são João Paulo II, juntamente com o de Bento XVI, acerca destes temas parece ter sido esquecido. Vozes daqueles que são fiéis à doutrina se levantam (cardeal x cardeal), pedem intervenção do papa, o Sumo Pontífice, aquele que deve confirmar os irmãos na fé. Que fé? Ele se cala... O papa que tanto fala, não fala, se cala... Em nome de “misericórdia”, de “pastoral”, se cala. Daqui à pouco as pedras começam a gritar...

O vaticanista Sandro Magister fez o seguinte relato: Sob disparos de cerca de 41 intervenções, os cardeais Pell [Prefeito da Secretaria para a Economia], Ouellet [Prefeito da Congregação para os Bispos], Filoni [Prefeito da Congregação para a Evangelização dos Povos (Propaganda Fide)], Dolan [de Nova York], Vingt-Trois [de Paris], Burke [Prefeito da Assinatura Apostólica], Rylko [Presidente do Pontifício Conselho para os Leigos], Müller [Prefeito da Congregação para a Doutrina da Fé], Scola [de Milão], Caffarra [de Bolonha] dentre outros, soltaram o verbo, todos contra uma abertura a segundos matrimônios, conforme proposto pelo Cardeal Kasper, que também interveio.

Daqui a pouco lhes cortam o direito à palavra no Sínodo, já que isso lhes tem sido retirado nos comunicados à imprensa, até mesmo o cardeal Gerhard Müller teria se manifestado mostrando como isso é vergonhoso, fato desmentido, para variar, pelo porta voz do Vaticano, padre Federico Lombardi, quanto às expressões citadas, mais precisamente no se refere ao adjetivo "vergonhoso". Este fato me remeteu ao passado, de novo: Durante o Concílio, o Cardeal Ottaviani, Prefeito do Santo Ofício, exprimiu um dia em seu discurso sua inquietação quanto a algumas inovações. Falava sem texto, por estar quase cego e ultrapassou seu tempo para falar. Então, o microfone simplesmente lhe foi cortado. O “teólogo progressista” Rahner comentou o acontecimento em uma carta escrita a Vorgrimler, em 5 de novembro de 1962:

Você já deve ter sabido que Alfrink, de novo, simplesmente cortou a palavra a Ottaviani, por que ele falava por muito tempo. Começou-se a aplaudir (o que não é habitual). Moral: A alegria sádica é a alegria mais pura.” (Deutsche Tagespost, 10 de outubro de 1992).

O Ocidente, que nega a si mesmo, ganha força dentro da Igreja. Como historiador, fico procurando no passado uma crise semelhante a esta, lembro-me dos arianos... Complicado, qual a identidade da Igreja? Ela também se nega.

segunda-feira, 29 de setembro de 2014

Papa Francisco precisa tomar cuidado para não ser o Gorbachev da Igreja e para não competir com a imaginação de Dan Brown

Já se passou quase um ano desde que o o jornalista Reinaldo Azevedo publicou o artigo abaixo, muito atual, para dizer o mínimo.

O nome é Jorge Mario Bergoglio, conhecido como papa Francisco desde 13 de março de 2013, mas podem começar a chamá-lo de Mikhail Gorbachev… É uma ironia? Claro que é. Alguns entenderam de primeira. Outros terão de refletir um pouco. Um liderava uma construção humana, de vocação maligna. O outro comanda o que os crentes consideram uma construção divina, de vocação benigna. O meu gracejo, por óbvio, não nasce da diferença, mas do risco da semelhança.

Repararam, leitores? Há muito tempo um papa não chamava tanto a atenção da imprensa mundial e não recebia tantos elogios, muito especialmente daqueles, vejam que curioso!, que odeiam a Igreja Católica — e, de maneira mais genérica, o cristianismo. “Se até o papa está dizendo que a Igreja é essa porcaria, então deve ser mesmo verdade; eu sempre soube!”

Ai daquele que alimentar a vaidade de despertar a simpatia de quem o detesta!

Não gosto, e já deixei isso claro aqui, dos primeiros passos de Francisco. Fazer o quê? Chega a hora em que é preciso discordar até do papa. Então que seja. Considerei, e não mudei de ideia, um tanto atrapalhada a sua entrevista à revista jesuíta La Civiltà Cattolica. Ainda que não tenha dito a barbaridade que lhe atribuíram sobre o aborto (escrevi um post sobre a mentira), a fala não foi clara o bastante. Do pastor máximo da Igreja Católica, espera-se, como queria Paulo, que flauta soe como flauta, e cítara, como cítara.

Ao jornal “La Repubblica”, chamou a Igreja de “introspectiva e vaticanocêntrica”, além de classificar a Cúria romana de “lepra do papado”. Nesta quarta, em audiência da Praça São Pedro, lembrou o óbvio, mas num contexto, a esta altura, já contaminado pela tentação do falastrão: “Somos uma igreja de pecadores, e nós, pecadores, somos chamados para nos renovar, santificar por Deus”. E criticou: “Existiu na história a tentação daqueles que afirmavam que a Igreja é apenas dos puros, daqueles que são totalmente crentes, e os outros são afastados. [A Igreja] não é a casa de poucos, mas de todos”.

Por certo é a “casa de todos”, mas de todos que estejam dispostos a aceitar os fundamentos que fazem da Igreja a Igreja. Afinal, o que é realmente de todo mundo é a República, não é isso? É o estado democrático. E, ainda assim, que cabe notar: é de todos até mesmo para punir aqueles que violam as suas regras.

Alguns amigos católicos estão um tanto descontentes com a minha pressa em censurar a fala do papa. Acham que eu deveria esperar um pouco mais para ver para onde caminham as coisas. Talvez eu pudesse fazê-lo se fosse apenas católico. Como sou também jornalista, não posso deixar de analisar essa questão com os olhos e, vá lá, algum método com que vejo todo o resto.

A ironia que fiz com Gorbachev faz sentido. Eu sempre o admirei muito porque tinha a certeza, desde o primeiro momento — e quem me conhece desde aqueles tempos sabe disto — que ele aceleraria o fim da URSS. Gorbachev atuava, vamos dizer assim, no mesmo sentido em que caminhavam os meus anseios naquele particular: o desmoronamento do império soviético. Mas eu me divertia me colocando, às vezes, na pele de um comuna pró-Moscou e concluía: é uma besta ao quadrado! “Mas ele não fez um bem imenso à humanidade, pondo fim àquele horror?” Claro que sim! Ocorre que ele tinha sido escolhido para manter o império. Vivo torcendo para que apareça um “reformador” chinês, entendem? Deng Xiaoping foi esperto e maligno. Pôs fim ao comunismo chinês sem pôr fim à tirania…

Ocorre que a Igreja Católica não é um império do mal, não é? E, desta feita, não vejo graça nos primeiros passos de um candidato a Gorbachev de mitra. Não acho que Francisco vá acabar com a Igreja. Ela é um pouco mais antiga e enraizada na cultura do que era o comunismo. Mas eu o vejo, por enquanto, produzindo falas bombásticas em excesso, a maioria voltada para o público externo, muito em particular para os que veem na instituição não mais do que um amontoado de obsolescências, com o que, obviamente, não concordo.

Daqui a pouco vai haver gente achando que, nos corredores do Vaticano e na Cúria (a tal “lepra”), circulam alguns daqueles celerados da imaginação de Dan Brown, o autor do delirante “O Código Da Vinci”. Seria melhor que primeiro conhecêssemos o papa por suas ações. As palavras bem que poderiam vir depois. Os jesuítas têm, é verdade, uma certa tradição falastrona, de confronto com a hierarquia, que já gerou maravilhas como Padre Vieira, por exemplo. Mas Bergoglio não é Vieira.

Eis um tipo de consideração, meus caros, que não terá como ser confrontada com os fatos amanhã, depois de amanhã, daqui a dois ou três meses, como acontece com frequência na política. É matéria de muitos anos. As primeiras afirmações de Francisco estão gerando mais calor do que luz. E, como não poderia deixar de ser, têm despertado a simpatia dos que o veem não como um reformador que vai fortalecer a Igreja Católica, mas como um crítico que, finalmente, pode desestruturá-la.

Boa parte dos não católicos que hoje aprovam Francisco o aplaude como eu aplaudia… Gorbachev: “Dessa vez aquele troço desaba!”. E, felizmente, desabou.

Por Reinaldo Azevedo em 03/10/2013



domingo, 28 de setembro de 2014

Quantas “Férulas” Francisco já usou?

Relembrando o que o Blogonicvs e o Fratres in Unum já fizeram e dado sequência, diante de certas novidades, seguem abaixo as 'Férulas' usadas por Francisco. Penso eu que algumas carecem das qualidades necessárias para serem chamadas de Férulas.


Com a Férula de Bento XVI



Com a de Paulo VI, de uso imediato após o Conclave de 2013



Em Lampedusa, 'Férula' feita com madeira dos navios que atracam na ilha italiana



De autoria de Maurizio Laurido, escultor-ourives de Trastevere (Roma), que a intitulou “Crux gloriosa” e deu-a de presente ao Santo Padre na audiência privada que ele concedeu a uma representação do “Grupo de pesquisa de metais éticos”, realizada no último dia 3 de outubro de 2013, no Vaticano.
A obra foi feita com matérias-primas “éticas” – madeira de kaoba, bronze e prata – extraídas por meios não-invasivos que respeitam o meio ambiente. Segundo Laurido, o trabalho expressa conceitualmente a síntese da visão da morte de Cristo, sua paixão, sua dor, mas também de sua ressurreição, por isso é o sinal da plenitude da vida e da esperança de que trata a todos. É a mesma síntese que por ‘João Evangelista, no Quarto Evangelho.



Esta foi usada em algumas celebrações da Semana Santa



Feita para a visita do Papa à Terra Santa. Usada na missa na Jordânia



Durante as Vésperas e Ação de Graças (27-09-2014), na "Chiesa del Gesù" – igreja-mãe dos Jesuítas –, por ocasião do bicentenário da restauração da Companhia de Jesus por obra de Pio VII em 1814, após a supressão por parte do Papa Clemente XIV em 1773. Isso pode ser chamado de Férula, está mais para um báculo modernista.

Proponho que alguém lhe indique o uso do Hierofante, como na foto abaixo, usado por São João Paulo II durante a abertura da Porta Santa por ocasião do Ano da Redenção de 1983.





sábado, 27 de setembro de 2014

Francisco e a Liturgia

Vésperas referente à lembrança da reconstituição da Companhia de Jesus (27-09-2014): celebração, no mínimo, estranha. Elementos destoantes da arquitetura local, dalmáticas com espécies de estola por cima das mesmas e um ‘báculo’ extremamente esquisito para o papa. Além de curvo, sem uma cruz, nada de férula. Isso sem falar da sonoridade musical, nada do que estamos acostumados em celebrações vaticanas, e do incenso colocado em uma tigelinha. Onde está mons. Guido Marini? Quem já assistiu Vésperas presididas por Bento XVI sofre... A Igreja sofre, os fiéis sofrem...






quinta-feira, 25 de setembro de 2014

A mão pesada de Francisco (II)

Até que não demorou muito para o peso da mão de Francisco ser sentido, de novo. Parece mesmo que o avanço modernista está se acelerando. O resultado da Visitação Apostólica culminou na decisão do papa Francisco em destituir Dom Rogelio Livieres, bispo diocesano de Ciudad del Este. Talvez, seu substituto (até agora, Admnistrador Apostólico) atenda mais ao perfil da Teologia da Libertação paraguaia. Em uma nota bem polida, o autoritarismo faz-se sentir. Típica característica dos regimes populistas.
Dom Livieres se recusou a renunciar, mas acatou a decisão papal, embora não tenha conseguido ser atendido pelo mesmo, como se vê no comunicado da Diocese, transcrito abaixo, logo após o comunicado da Santa Sé.
Em seguida, a carta do referido bispo ao cardeal Marc Ouellet, prefeito da Congregação para os Bispos.


            Dopo l’accurato esame delle conclusioni delle Visite Apostoliche compiute al Vescovo, alla diocesi e ai Seminari di Ciudad del Este, da parte della Congregazione per i Vescovi e della Congregazione per il Clero, il Santo Padre ha provveduto all’avvicendamento di S.E. Mons. Rogelio Ricardo Livieres Plano e ha nominato Amministratore Apostolico della medesima sede, ora vacante, S.E. Mons. Ricardo Jorge Valenzuela Ríos, Vescovo di Villarrica del Espíritu Santo.
            La gravosa decisione della Santa Sede, ponderata da serie ragioni pastorali, è ispirata al bene maggiore dell’unità della Chiesa di Ciudad del Este e alla comunione episcopale in Paraguay.
            Il Santo Padre, nell’esercizio del suo ministero di "perpetuo e visibile fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli" (L.G. 23), chiede al clero e a tutto il Popolo di Dio di Ciudad del Este di voler accogliere i provvedimenti della Santa Sede con spirito di obbedienza, docilità e animo disarmato, guidato dalla fede.
           Inoltre, invita l’intera Chiesa Paraguaiana, guidata dai suoi Pastori, ad un serio processo di riconciliazione e superamento di qualsiasi faziosità e discordia, perché non sia ferito il volto dell’unica Chiesa "acquistata con il Sangue del suo proprio Figlio" e il "gregge di Cristo" non sia privato della gioia del Vangelo (cf. At 20, 28).

COMUNICADO DEPRENSA DE LA DIÓCESIS DE CIUDAD DEL ESTEJueves, 25 de Septiembre de 2014 12:26


           Mons. Rogelio Livieres Plano mantuvo esta semana dos reuniones en Roma en la Congregación para los Obispos, donde se lo instó vivamente a que renuncie a su cargo por la falta de unidad en la comunión con los otros Obispos del Paraguay. 
            A pesar de solicitar ver los resultados escritos de la Visita Apostólica, nunca le fueron mostrados. Tampoco se accedió a su pedido de ser escuchado y hablar con el Papa para poder defenderse y aclarar las dudas que hubiere.
           Por respeto a su conciencia frente a los deberes que le tocan como Pastor de una Diócesis que, gracias a Dios, ha florecido y multiplicado sus frutos en los últimos años, se ha negado a acceder a un pedido que cree infundado y que es resultado de un procedimiento indefinido y súbito. Sin embargo, por obediencia a la autoridad del Papa ha aceptado con serenidad y tranquilidad la decisión de ser removido del cargo.

          A instancias del Obispo saliente, la Diócesis de Ciudad del Este aguarda con alegría y esperanza al nuevo Pastor que la guiará hacia el Reino de los cielos, orando desde ya por quien deba asumir esta responsabilidad. María, Reina de la Paz, y san Blas, patronos de la Diócesis, protejan y guíen a todos en estas difíciles circunstancias. Cuando el Obispo sea notificado por escrito debidamente tendrán efectos legales las decisiones tomadas.


Jueves, 25 de Septiembre de 2014 13:59
Cardenal Marc Ouellet
Prefecto de la Congregación para los Obispos
Palazzo della Congregazioni,
Piazza Pio XII, 10,
00193 Roma, Italia
25 de septiembre de 2014
Eminencia Reverendísima:
Le agradezco la cordialidad con que me recibió el lunes 22 y el martes 23 de este mes en el Dicasterio que preside. Igualmente, la comunicación por teléfono que me ha hecho hace unos momentos de la decisión del Papa de declarar a la Diócesis de Ciudad del Este sede vacante y de nombrar a Mons. Ricardo Valenzuela como Administrador Apostólico.
Tengo entendido que el Nuncio, prácticamente en simultáneo con el anuncio que Su Eminencia me acaba de dar, ha realizado una conferencia de prensa en el Paraguay y ya se dirige hacia la Diócesis para tomar control inmediato de la misma. El anuncio público por parte del Nuncio antes de que yo sea notificado por escrito del decreto es una irregularidad más en este anómalo proceso. La intervención fulminante de la Diócesis puede quizás deberse al temor de que la mayoría del pueblo fiel reaccione negativamente ante la decisión tomada, ya que han manifiestado abiertamente su apoyo a mi persona y gestión durante la Visita Apostólica. En este sentido recuerdo las palabras de despedida del Cardenal Santos y Abril: «espero que reciban las decisiones de Roma con la misma apertura y docilidad con que me han recibido a mí». ¿Estaba indicando que el curso de acción estaba ya decidido antes de los informes finales y el examen del Santo Padre? En cualquier caso, no hay que temer rebeldía alguna.Los fieles han sido formados en la disciplina de la Iglesia y saben obedecer a las autoridades legítimas.
Las conversaciones que hemos mantenido y, aparentemente ya que no los he visto, los documentos oficiales, dan por justificación para tan grave decisión la tensión en la comunión eclesial entre los Obispos del Paraguay y mi persona y Diócesis: «no estamos en comunión», habría declarado el Nuncio en su conferencia.
Por mi parte, creo haber demostrado que los ataques y maniobras destituyentes de la que he sido objeto se iniciaron ya desde mi nombramiento como Obispo, antes incluso de que pudiera poner un pie en la Diócesis –hay correspondencia de la época entre los Obispos del Paraguay con el Dicasterio que Su Eminencia preside como prueba fehaciente de ello. Mi caso no ha sido el único en el que una Conferencia Episcopal se ha opuesto sistemáticamente a un nombramiento hecho por el Papa contra su parecer. Yo tuve la gracia de que, en mi caso, los Papas san Juan Pablo II y Benedicto XVI me apoyaran para seguir adelante. Entiendo ahora que el Papa Francisco haya decidido retirarme ese apoyo.
Sólo quiero destacar que no recibí en ningún momento un informe escrito sobre la Visita Apostólica y, por consiguiente, tampoco he podido responder debidamente a él. A pesar de tanto discurso sobre diálogo, misericordia, apertura, descentralización y respeto por la autoridad de las Iglesias locales, tampoco he tenido oportunidad de hablar con el Papa Francisco, ni siquiera para aclararle alguna duda o preocupación. Consecuentemente, no pude recibir ninguna corrección paternal –o fraternal, como se prefiera– de su parte. Sin ánimo de quejas inútiles, tal proceder sin formalidades, de manera indefinida y súbita, no parece muy justa, ni da lugar a una legítima defensa, ni a la corrección adecuada de posibles errores. Sólo he recibido presiones orales para renunciar.
Que mis opositores y la prensa local hayan recientemente estado informando en los medios, no de lo que había pasado, sino de lo que iba a suceder, incluso en los más mínimos detalles, es sin duda otro indicador de que algunas altas autoridades en el Vaticano, el Nuncio Apostólico y algunos Obispos del país estaban maniobrando de forma orquestada y dando filtraciones irresponsables para «orientar» el curso de acción y la opinión pública.
Como hijo obediente de la Iglesia, acepto, sin embargo, esta decisión por más que la considero infundada y arbitraria y de la que el Papa tendrá que dar cuentas a Dios, ya que no a mí. Más allá de los muchos errores humanos que haya cometido, y por los cuales desde ya pido perdón a Dios y a quienes hayan sufrido por ello, afirmo una vez más ante quien quiera escucharlo que la substancia del caso ha sido una oposición y persecución ideológica.
La verdadera unidad eclesial es la que se edifica a partir de la Eucaristía y el respeto, observancia y obediencia a la fe de la Iglesia enseñada normativamente por el Magisterio, articulada en la disciplina eclesial y vivida en la liturgia. Ahora, empero, se busca imponer una unidad basada, no sobre la ley divina, sino sobre acuerdos humanos y el mantenimiento del statu quo. En el Paraguay, concretamente, sobre la deficiente formación de un único Seminario Nacional –deficiencias señaladas no por mí, sino autoritativamente por la Congregación para la Educación Católica en carta a los Obispos de 2008. En contraposición, y sin criticar lo que hacían otros Obispos, aunque hay materia de sobra, yo me aboqué a establecer un Seminario diocesano según las normas de la Iglesia. Lo hice, además, no sólo porque tengo el deber y el derecho, reconocido por las leyes generales de la Iglesia, sino con la aprobación específica de la Santa Sede, inequívocamente ratificada durante la última visita ad limina de 2008.
Nuestro Seminario diocesano ha dado excelentes frutos reconocidos por recientes cartas laudatorias de la Santa Sede en al menos tres oportunidades durante el pontificado anterior, por los Obispos que nos han visitado y, últimamente, por los Visitadores Apostólicos. Toda sugerencia hecha por la Santa Sede en relación a mejoras sobre el modo de llevar adelante el Seminario, se han cumplido fielmente.
El otro criterio de unidad eclesiástica es la convivencia acrítica entre nosotros basada en la uniformidad de acción y pensamiento, lo que excluye el disentimiento por defensa de la verdad y la legítima variedad de dones y carismas. A esta uniformidad ideológica se la impone con el eufemismo de «colegialidad».
El que sufre las últimas consecuencias de lo que describo es el pueblo fiel, ya que las Iglesias particulares se mantienen en estado de letargo, con gran éxodo a otras denominaciones, casi sin vocaciones sacerdotales o religiosas, y con pocas esperanzas de un dinamismo auténtico y un crecimiento perdurable.
El verdadero problema de la Iglesia en el Paraguay es la crisis de fe y de vida moral que una mala formación del clero ha ido perpetuando, junto con la negligencia de los Pastores. Lugo no es sino un signo de los tiempos de esta problemática reducción de la vida de la fe a las ideologías de moda y al relajamiento cómplice de la vida y disciplina del clero. Como ya he dicho, no me ha sido dado conocer el informe del Cardenal Santos y Abril sobre la Visita Apostólica. Pero si fuera su opinión que el problema de la Iglesia en el Paraguay es un problema de sacristía que se resuelve cambiando al sacristán, estaría profunda y trágimente equivocado.
La oposicion a toda renovación y cambio en la Iglesia en el Paraguay no sólo ha contado con Obispos, sino también con el apoyo de grupos políticos y asociaciones anti-católicas, además del apoyo de algunos religiosos de la Conferencia de Religiosos del Paraguay –los que conocen la crisis de la vida religiosa a nivel mundial no se sorprenderán de esto último. El vocero pagado y reiteradamente mentiroso para tales maniobras ha sido siempre un tal Javier Miranda. Todo esto se hizo con la pretensión de mostrar «divisón» dentro de la misma Iglesia diocesana. Aunque la verdad demostrada y probada es la amplia aceptación entre el laicado de la labor que veníamos haciendo.
Del mismo modo que, antes de aceptar mi nombramiento como Obispo, me creí en la obligación de expresar vivamente mi sentimiento de incapacidad ante tamaña responsabilidad, después de haber aceptado dicha carga, con todo el peso de la autoridad divina y de los derechos y deberes que me asisten, he mantenido la gravísima responsabilidad moral de obedecer a Dios antes que a los hombres. Por eso me he negado a renunciar por propia iniciativa, queriendo así dar testimonio hasta el final de la verdad y la libertad espiritual que un Pastor debe tener. Tarea que espero continuar ahora desde mi nueva situación de servicio en la Iglesia.
La Diócesis de Ciudad del Este es un caso a considerar que ha crecido y multiplicado sus frutos en todos los aspectos de la vida eclesial, para felicidad del pueblo fiel y devoto que busca las fuentes de la fe y de la vida espiritual, y no ideologías politizadas y diluídas creencias que se acomodan a las opiniones reinantes. Ese pueblo expresó abierta y públicamente su apoyo a la labor apostólica que hemos venido haciendo. El pueblo y yo hemos sido desoídos.
Suyo afectísimo en Cristo,

+ Rogelio Livieres
Ex obispo de Ciudad del Este (Paraguay)