domingo, 24 de outubro de 2010

Tiara ou Mitra? A Mitra reaparece no Brasão Papal.

Eis a notícia via Rorate Caeli e Rinascimento Sacro sobre o Angelus de hoje (24-10-10):

Tiara out, miter in -- once more.


Rinascimento Sacro reports that for today's Angelus, the papal coat of arms with tiara from Ars Regia that had occasioned so much discussion since its first appearance on October 10, was replaced with the coat of arms with miter:



Noting that some of the vestments made for Pope Benedict XVI have the tiara and not the miter with his coat of arms, Rinascimento Sacro's report -- which has photos of some of these magnificent vestments -- states that these will likely be redone as well in order to remove the tiara.
Fonte: Rorate Caeli

La tiara. Ovvero: “Tu sei Padre, Guida e Vicario”.

Domenica 10 Ottobre scorso è stato esposto dalla finestra dell’Angelus un drappo nel quale lo Stemma di Benedetto XVI non appariva più nella foggia consueta. Si è temuto fosse cambiato lo stemma ufficiale del Papa ed ora, per evitare equivoci, si farà subito marcia indietro. Torna il vecchio drappo. Ma era proprio necessario?

Cos’è la Tiara papale. Ovvero “Patrem, Rectorem, in terra Vicarium Salvatoris”.
[...] Du Puy afferma che papa Simmaco (498-514) portava una corona sopra la sua mitria. Oggi si ritiene che la corona che sta alla base della tiara abbia inziato a comparire tra il IX e il XI secolo. Hefele che i Papi iniziarono la loro mitria episcopale con una corona di principe allorquando sovrani temporali al tempo di Carlo Magno e questa sembra una supposizione accettabile. Resta il fatto, comunque, che non si può trovare traccia di un simile uso nell’arte figurativa anteriormente al XIII secolo.
La seconda corona venne aggiunta alla tiara da Bonifacio VIII (1294-1303) in modo che una rappresentasse una il potere spirituale, l’altra il potere temporale. Non sappiamo, però, se fosse proprio questa l’intenzione di Bonifacio VIII.
La terza corona fu aggiunta sotto il pontificato di Benedetto XI (1303-1304) o di Clemente V (1305-1314). La tiara con le tre corone viene menzionata la prima volta in un inventario del tesoro papale che risale al 1315.
Sin da quando ha assunto tale forma, la tiara è apparsa sempre come segno dell’autorità papale. A partire dal XIII secolo circa era guarnita di due nastri, originariamente di colore nero, uscenti dalla parte posteriore, come quelli della mitria.
Il pomello e la piccola croce posti sulla punta della tiara non compaiono mai sulle tombe dei Papi del Medioevo. Sembra che questi ornamenti non siano apparsi prima del XV secolo. Si incontrano per la prima volta sulla preziosa tiara di Giulio II (1503-1513). Sfortunatamente ce n’è pervenuta solo l’immagine. I gioelli che l’adornavano furono consegnati per pagare le indennità di guerra imposte al Papa nel 1799 da Napoleone a nome della Repubblica.
Come afferma giustamente Galbreath (Papal Heraldry, pag. 17) la tiara non ha niente a che vedere con il culto liturgico. Il Cardinale San Roberto da Bellarmino e l’araldista Giulio Cesare de Beatiano erano della medesima opinione ai loro tempi anche se Du Puy li contraddice. Secondo questo studioso la tiara è simbolo di potere spirituale e in nessun modo denota potere temporale. La prova che adduce il Beatiano a sostegno della sua affermazione che la tiara significhi potere temporale non ha solide basi. Egli scrive fantasiosamente che le tre corone rappresentino le tre parti del mondo allora conosciuto: l’Europa, l’Asia, l’Africa. Perchè allora non vennero aggiunte altre due corone dopo la scoperta della’America e dell’Australia? Nonostante la debolezza della sua argomentazione egli bene si accorda con l’opinione dei suoi contemporanei.
E’ certo che quando presiede celebrazioni liturgiche il Papa porta la mitria e mai la tiara. Si può dunque concludere che la tiara non è un copricapo liturgico, ma piuttosto il segno del potere sovrano che esercita il Papa, nella sua doppia qualità di capo supremo della Chiesa e sovrano dello Stato Pontificio. Il bisogno di simboleggiare l’unità di questi due poteri influì certamente sull’evoluzione della tiara. E’ possibile pensare che l’importanza del potere temporale fu il motivo primo della creazione di una corona così maestosa, ma oggi il simbolismo specifico della tiara è quello della posizione suprema del Papa sulla Chiesa universale , e questo resterebbe intatto anche il potere temporale dovesse ancora una volta cessare del tutto.
Nel corso della cerimonia dell’incoronazione il Cardinale protodiacono poneva la tiara sul capo del Sommo Pontefice dicendo: “Accipe tribus coronis ornatam, et scias te esse Patrem Principum et Regum, Rectorem Orbis, in Terra Vicarium Salvatoris nostri Jesu Christi, Cui est honor et gloria in saecula saeculorum”.
La triplice corona pontificia potrebbe simboleggiare anche la supremazia del Papa sulle tre Chiese: militante, purgante e trionfante o anche il triplice ministero di sacerdote, di pastore, e di maestro della Fede. [...] Tratto da Mons. Bruno Bernard Heim, “L’araldica nella Chiesa Cattolica: origini, usi, legislazione”, Libreria Editrice Vaticana.
Sic transit gloria mundi. Ovvero tutto questo (per fortuna) è opinione.
Come tutti sanno il drappo esposto dalla Loggia di San Pietro e dalla finestra degli Appartamenti Pontifici riportano lo Stemma Papale in segno di rispetto e decoro dell’Autorità del Pontefice Regnante. Niente di liturgico, certo, ma semplici vestigia di quel cerimoniale di corte che, volente o nolente, la Santa Sede si porta dietro fin dal Rinascimento. Come Sovrano di uno Stato dunque, anche il Papa espone le sue “armi”.
Ora, ogni cristiano sa che l’unica vera “arma” di un Pontefice della Chiesa Cattolica è la Croce di Cristo. Ogni cristiano sa che ogni altro fastigio, corona, orpello, velluto, ammenicolo e apparato è solo un pour faire quelque chose su questa miserevole terra, davanti agli umani che son più tardi degli angeli nel comprendere le cose Sante di Dio, e che oro e bisso verranno un giorno depositati sulle tombe senza entrarvi, e lì si copriranno di polvere, com’è giusto che sia, finchè la consunzione del tempo li farà sparire.
La Chiesa cattolica è sempre stata consapevole di questo straordinaria contraddizione tra il fasto e la ruggine, tra la salute e la tigna. Nel rito dell’incoronazione, quando certi Imperatori s’arrischiavano addirittura a prendersi da soli la corona, il Cardinale Protodiacono introduceva il neoeletto Papa alla Sua Corona apostrofando l’entusiasmo in maniera incredibile: “Pater Sancte, sic transit gloria mundi“. Lo annunciava solennemente per tre volte, tre volte bruciando della stoppa. Ciò che sembra impudenza è solo il senso cattolico della realtà e delle cose.
Negli ultimi tre pontificati si è deciso di non svolgere il rito di Incoronazione, ponendo all’inizio un certo imbarazzo su cosa il neoeletto a questo punto dovesse fare. Ma poi da questi imbarazzi si esce, i cerimonieri s’ingegnano, ed ora il Papa “inizia solennemento il suo apostolato” ricevendo altri simboli, come il Pallio dalle croci rosse per esempio.
Per Benedetto XVI il pallio fu una sciarpa mar(t)iniana, di cui i posteri non faranno memoria, essendo stata accuratamente grattata via anche dal tondo papale di San Paolo. “Sic transit gloria mundi“, appunto, anche per gli ingegneri della cerimonia. Ma la cosa più curiosa è apparsa da subito la foggia della tiara rappresentata sopra lo stemma di Benedetto XVI: una tiara dalla forma mitriata, meno panettosa, sempre in argento, con le tre corone unite da un palo. Era evidente che chi l’aveva proposta era rimasto in mezzo ad un guado. Si era cercato di smarcarsi dalla tiara tradizionale, senza giungere ad una vera mitria episcopale: ne uscì un’ibrido su cui oggi torniamo a riflettere.
Questioni di stile. E di ruolo.
L’elezione del nuovo Pontefice aveva dato modo ad alcuni ambienti di portare avanti un’idea che girava già da molto tempo: se Paolo VI ha deposto la sua tiara, e se i suoi successori non l’hanno più utilizzata, era giunto il momento di sostituire definitivamente il copricapo papale anche nello stemma.
Non era certo un ragionamento araldicamente logico, dato che l’araldica è un sistema inerziale, e pertanto tende a conservare i segni di dignità anche quando sono desueti.
In effetti, questo atteggiamento ha già dei precedenti: vi sono Vescovi che si sono allegramente tolti l’ingombrante galero prelatizio dallo stemma. L’attuale Vescovo di Siena, Antonio Buoncristiani, si è portato avanti e da anni sfoggia sullo stemma la stessa mitria che si vorrebbe per il Papa. Nel suo caso il blasone fa un po’ anglicano smarrito in terra cattolica, ma è così elegante che sarebbe degno, un giorno, di un paio di chiavi incrociate dietro lo scudo.
Tuttavia, l’ostinata volontà di sostituire il simbolo papale ha da sempre una motivazione ideale abbastanza inafferrabile. Parte da: “Il Papa non più un sovrano temporale, ma il Pastore della Chiesa universale” e finisce quasi sempre nel voler fare di Pietro un “primus inter pares“. E poichè la religione cattolica vive di simboli e di prassi, ancor prima che di dottrine, si è cercato di far scivolare il concetto nel “trascurabile dettaglio” dell’araldica ecclesiastica, che fino ad allora era rimasta ferma nelle sue certezze (si contano solo rari abusi nell’uso della tiara da parte di Vescovi: conferma indiretta, comunque, dell’autorità sovrana che quel simbolo esprime).
Già ai tempi di Paolo VI, gli stemmi papali postconciliari spesso non riportano più il triregno ma una semplice mitria. Qualche esempio, assolutamente incoerente e pretestuoso, lo si vide anche sotto il pontificato di Giovanni Paolo I.
Anche Giovanni Paolo II, suo malgrado si ritrovò in giro stemmi che andavano da questo
a questo
risalente al 1994, quando l’allora Arciprete della Basilica di San Pietro, il Cardinal Virgilio Noè, volle onorare il Santo Padre sostituendo la tiara dello stemma wojtyliano con una comune mitria, e perpetuò il tributo nell’ intarsio marmoreo del pavimento.
Oggi, il passo fatto fare allo stemma di Benedetto XVI è decisamente meno coraggioso. E se vogliamo, il pensiero ispiratore appare pure più ingarbugliato, poichè il recente maquillage ha conservato giusto le tre “scandalose” corone di Padre dei Principi e dei Re, Rettore dell’orbe terracqueo e in terra Vicario del Salvatore nostro Gesù Cristo.
Marketing papale. Ovvero quando si ha un’idea da vendere.
Cimentarsi in un tale esperimento di creatività araldica è impresa assolutamente legittima, beninteso, dal momento che il Papa come sommo legislatore potrebbe decidere di mettersi in testa qualunque cosa, senza chiedere niente a nessuno.
Tuttavia, è innegabile che le continue modifiche degli stemmi papali negli ultimi quarant’anni, stiano rischiando di risultare una vera e propria strumentalizzazione del potere mediatico che lo stemma papale ha dimostrato di avere. In marketing si parlerebbe di branding, ovvero costruire un marchio attorno ad un’idea da vendere.
Qual’è l’idea da veicolare col nuovo rifacimento è più difficile da definire di quanto si pensi. E del resto è dignitoso che un Papa debba avere uno stemma oggi e uno stemma domani, alla mercè di qualunque idea si possa avere del papato? E’ possibile “gestire” un simbolo della cristianità universalmente riconosciuto senza intaccare la teologia che rappresenta?
Forse, con tutto il rispetto per chi decise effettivamente quel giorno, sarebbe meglio non si corresse a mettere e togliere di continuo, addosso alla Sacra Persona del Pontefice, i gagliardetti del proprio passaggio su questa terra.
Non vogliamo giudicare, e qui sia ben chiaro, quello che effettivamente nel 2005 potrebbe essere un atto illuminato del Santo Padre, come s’è affrettato a dichiarare alla stampa il Cardinal Cordero di Montezemolo. Ma l’araldista deputato aveva ancora in mano i bozzetti da sottoporre al Papa, Eminenza.
Certe scelte, tanto complesse e idealiste da non essere mai chiare e limpide, tradiscono se stesse. E’ chiaro che per buona parte del pontificato precedente c’è stato un continuo e costante intento nel trasformare l’immagine petrina di fronte all’opinione pubblica. E quando le novità si annunciano con tanto entusiasmo durante il lutto della Chiesa Cattolica, finiscono per sembrare l’atto finale di una lunga regia che cerca le sue inquadrature. Ed è stato nell’avvicendamento dei regni, prima dell’uscita dal palco, che i registi hanno forzato la scena per cogliere l’ultima occasione di consacrare pubblicamente la propria idea di Chiesa. “Sic transit gloria mundi”.
A noi piace pensare, disposti ad essere smentiti e ricondotti alla giusta opinione, che questo Papa sia troppo santo per pensare al suo stemma e al suo vestire; che il Suo colloquio, cuore a cuore con Dio, lo impegni troppo per preoccuparsi di essere presentabile al mondo. E’ un Papa che regge davvero l’orbe terracqueo sulle sue spalle, come una Croce immensa, e considerate le tribolazioni che gli procuriamo ogni giorno, non ha che la corona di spine di Gesù Cristo per vantarsi.
Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”.(GV 21, 17-18)
Lo stile del Bernini per la piazza del Bernini.
Domenica 10 Ottobre è apparsa un’altra foggia dello stemma papale non per creare polemica o per dar modo di gridare alla restaurazione ai soliti timorosi. La tiara non ci pare stia per tornare a breve sulla testa del Pontefice, nè pare sia in corso il rifacimento dello stemmario ufficiale. Il drappo è stato solamente il dono devoto, grato e sincero di un marchigiano per il Santo Padre in occasione del quinto anniversario della Sua Elezione al Soglio Pontificio. Un dono necessario a rimediare al vecchio drappo che ancora portava coperte alla bell’e meglio le insegne precedenti. E Dio benedica chi ha avuto la nobile serenità di utilizzarlo perchè bello, ben confezionato ed atto al suo semplice scopo: esporre i segni dell’Autorità papale ai fedeli.
Si è pensato, come è stato suggerito, di presentare l’intero blasone papale secondo la foggia berniniana perchè, si converrà, nessun’altra foggia è più consona alla piazza del Bernini. La foggia rinascimentale d’altronde già compare su altri parati donati al Papa, e anche in quel caso scudo, copricapo e sostegni sono in stile. Pretendere che l’araldica papale s’adegui ad un solo stile sarebbe fuorviante. Essa trascende la pura espressione artistica e rimane declinabile secondo la convenienza.
Pare, tuttavia, che l’interesse creatosi attorno allo stemma papale rappresentato sul nuovo drappo abbia incontrato il disappunto di alcuni, e di disappunto in disappunto, ci si sarebbe mossi per risolvere la cosa. Così Domenica prossima, dalla finestra del Papa, molto probabilmente torneremo a rivedere esposto il drappo precedente. Quello con la toppa bianca.
Scelta legittima, se a casa propria ognuno mette fuori i panni che vuole. Ma ci si può chiedere preoccupati: tutta questa fedeltà alla linea non finirà per trascinare nuovamente il Santo Padre nel Sinedrio delle nostre opinioni, dividerci le vesti, e abbandonarlo, ancora una volta, davanti al chiacchiericcio del mondo?
La Croce. Ovvero il dettaglio che fa la differenza.
Ad un’attenta analisi, la questione dello stemma di Benedetto XVI, cioè cosa abbia o meno in capo, non dovrebbe nemmeno sussistere. Considerando quanto Mons. Heim dice a proposito della tiara, dovremmo infatti ammettere che, pur nella sua nuova, incomprensibile foggia, e a dispetto di quanto si è andato affermando a priori, lo stemma del Pontefice Regnante ha sempre avuto in capo una tiara.
Le tre corone di Patrem Principum et Regum, Rectorem Orbis, in Terra Vicarium Salvatoris sono bene evidenziate e il palo che enfaticamente le unisce, non fa altro che esaltare il significato della riunione dei tre poteri nell’unica Persona del Pontefice.
Il copricapo è di colore argento, e interpretandolo per l’unica cosa che potrebbe rappresentare secondo la storia araldica, è di metallo. E questo sarà l’unica interpretazione possibile finchè nell’uso dei prossimi anni non invalga veramente e di fatto una mitria di stoffa siffatta, mai vista prima, argentata, fasciata e impalata.
La forma, sedicente mitriata, a questo punto sarebbe solo una scelta stilistica allusiva, discutibile ma possibile, che tuttavia non pregiudica affatto la forma conica della tiara.
Ma alla fine sta il vero paradosso. Si voleva episcopalizzare lo stemma del Papa, in realtà le si è tolto il sommo onore.
Infatti, l’unica cosa che ci si è dimenticati di mettere, all’apice, sopra il tutto, è lo splendore della Croce di Cristo.
***
Questa è una mitria.
E chi la porta è un vescovo all’ultimo Sinodo.
***

Benedictus benedicat Benedictum.
Fonte: Rinascimento Sacro

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