quarta-feira, 18 de novembro de 2009

Guido Marini _ La partecipazione dei fedeli all'autentico spirito della liturgia


Il silenzio e il canto


"Introduzione allo spirito della liturgia" è il tema della conferenza che il Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie ha tenuto lo scorso 14 novembre a Genova davanti a un gruppo diocesano di animatori musicali della liturgia. Ne pubblichiamo una parte.

di Guido Marini


È urgente riaffermare l'autentico spirito della liturgia, così come è presente nella ininterrotta tradizione della Chiesa e testimoniato, in continuità con il passato, nel più recente magistero: a partire dal concilio Vaticano II fino a Benedetto XVI. Ho usato la parola "continuità". È una parola cara all'attuale Pontefice, che ne ha fatto autorevolmente il criterio per l'unica interpretazione corretta della vita della Chiesa e, in specie, dei documenti conciliari, come anche dei propositi di riforma a ogni livello in essi contenuti. E come potrebbe essere diversamente? Si può forse immaginare una Chiesa di prima e una Chiesa di poi, quasi che si sia prodotta una cesura nella storia del corpo ecclesiale? O si può forse affermare che la Sposa di Cristo sia entrata, in passato, in un tempo storico nel quale lo Spirito non l'abbia assistita, così che questo tempo debba essere quasi dimenticato e cancellato?
Eppure, a volte, alcuni danno l'impressione di aderire a quella che è giusto definire una vera e propria ideologia, ovvero un'idea preconcetta applicata alla storia della Chiesa e che nulla ha a che fare con la fede autentica.
Frutto di quella fuorviante ideologia è, ad esempio, la ricorrente distinzione tra Chiesa pre-conciliare e Chiesa post-conciliare. Può anche essere legittimo un tale linguaggio, ma a condizione che non si intendano in questo modo due Chiese: una - quella pre-conciliare - che non avrebbe più nulla da dire o da dare perché irrimediabilmente superata; e l'altra - quella post-conciliare - che sarebbe una realtà nuova scaturita dal concilio e da un suo presunto spirito, in rottura con il suo passato.
Quanto affermato fin qui a proposito della "continuità" ha a che fare con il tema che siamo chiamati ad affrontare? Assolutamente sì. Perché non vi può essere l'autentico spirito della liturgia se non ci si accosta a essa con animo sereno, non polemico circa il passato, sia remoto che prossimo. La liturgia non può e non deve essere terreno di scontro tra chi trova il bene solo in ciò che è prima di noi e chi, al contrario, in ciò che è prima trova quasi sempre il male. Solo la disposizione a guardare il presente e il passato della liturgia della Chiesa come a un patrimonio unico e in sviluppo omogeneo può condurci ad attingere con gioia e con gusto spirituale l'autentico spirito della liturgia. Uno spirito, dunque, che dobbiamo accogliere dalla Chiesa e che non è frutto delle nostre invenzioni. Uno spirito, aggiungo, che ci porta all'essenziale della liturgia, ovvero alla preghiera ispirata e guidata dallo Spirito Santo, in cui Cristo continua a divenire a noi contemporaneo, a fare irruzione nella nostra vita. Davvero lo spirito della liturgia è la liturgia dello Spirito.
Nella misura in cui assimiliamo l'autentico spirito della liturgia, diventiamo anche capaci di capire quando una musica o un canto possono appartenere al patrimonio della musica liturgica o sacra, oppure no. Capaci, in altre parole, di riconoscere quella musica che sola ha diritto di cittadinanza all'interno del rito liturgico, perché coerente con il suo spirito autentico. Se parliamo, allora, all'inizio di questo corso, di spirito della liturgia, ne parliamo perché solo a partire da esso è possibile identificare quali siano la musica e il canto liturgico.
Riguardo al tema proposto non pretendo d'essere esauriente. Non pretendo, neppure, di trattare tutti i temi che sarebbe utile affrontare per una panoramica complessiva della questione. Mi limito a considerare alcuni aspetti dell'essenza della liturgia, con riferimento specifico alla celebrazione eucaristica, così come la Chiesa ce li presenta e così come ho imparato ad approfondirli in questi due anni di servizio accanto a Benedetto XVI: un vero maestro di spirito liturgico, sia attraverso il suo insegnamento, sia attraverso l'esempio del suo celebrare.

La partecipazione attiva

I santi hanno celebrato e vissuto l'atto liturgico partecipandovi attivamente. La santità, come esito della loro vita, è la testimonianza più bella di una partecipazione davvero viva alla liturgia della Chiesa. Giustamente, dunque, e anche provvidenzialmente, il concilio Vaticano II ha insistito tanto sulla necessità di favorire un'autentica partecipazione dei fedeli alla celebrazione dei santi misteri, nel momento in cui ha ricordato la chiamata universale alla santità. E tale autorevole indicazione ha trovato puntuale conferma e rilancio nei tanti documenti successivi del magistero fino ai nostri giorni.
Tuttavia, non sempre vi è stata una comprensione corretta della "partecipazione attiva", così come la Chiesa insegna ed esorta a viverla. Certo, si partecipa attivamente anche quando si compie, all'interno della celebrazione liturgica, il servizio che è proprio a ciascuno; si partecipa attivamente anche quando si ha una migliore comprensione della Parola di Dio ascoltata e della preghiera recitata; si partecipa attivamente anche quando si unisce la propria voce a quella degli altri nel canto corale... Tutto questo, però, non significherebbe partecipazione veramente attiva se non conducesse all'adorazione del mistero della salvezza in Cristo Gesù morto e risorto per noi: perché solo chi adora il mistero, accogliendolo nella propria vita, dimostra di aver compreso ciò che si sta celebrando e, dunque, d'essere veramente partecipe della grazia dell'atto liturgico.
La vera azione che si realizza nella liturgia è l'azione di Dio stesso, la sua opera salvifica in Cristo a noi partecipata. Questa è, tra l'altro, la vera novità della liturgia cristiana rispetto a ogni altra azione cultuale: Dio stesso agisce e compie ciò che è essenziale, mentre l'uomo è chiamato ad aprirsi all'azione di Dio, al fine di rimanerne trasformato. Il punto essenziale della partecipazione attiva, di conseguenza, è che venga superata la differenza tra l'agire di Dio e il nostro agire, che possiamo diventare una cosa sola con Cristo. Ecco perché non è possibile partecipare senza adorare. Ascoltiamo ancora un brano della Sacrosanctum concilium: "Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti" (n. 48).
Rispetto a questo, tutto il resto è secondario. E mi riferisco, in particolare, alle azioni esteriori, pur importanti e necessarie, previste soprattutto durante la Liturgia della Parola. Mi riferisco a esse, perché se diventano l'essenziale della liturgia e questa viene ridotta a un generico agire, allora s'è frainteso l'autentico spirito della liturgia. Di conseguenza, la vera educazione liturgica non può consistere semplicemente nell'apprendimento e nell'esercizio di attività esteriori, ma nell'introduzione all'azione essenziale, all'opera di Dio, al mistero pasquale di Cristo dal quale lasciarsi raggiungere, coinvolgere e trasformare. E non si confonda il compimento di gesti esterni con il giusto coinvolgimento della corporeità nell'atto liturgico. Senza nulla togliere al significato e all'importanza del gesto esterno che accompagna l'atto interiore, la Liturgia chiede molto di più al corpo umano. Chiede, infatti, il suo totale e rinnovato impegno nella quotidianità della vita. Ciò che il Santo Padre Benedetto XVI chiama "coerenza eucaristica". È proprio l'esercizio puntuale e fedele di tale coerenza l'espressione più autentica della partecipazione anche corporea all'atto liturgico, all'azione salvifica di Cristo.
Aggiungo ancora. Siamo proprio sicuri che la promozione della partecipazione attiva consista nel rendere tutto il più possibile e subito comprensibile? Non sarà che l'ingresso nel mistero di Dio possa essere anche e, a volte, meglio accompagnato da ciò che tocca le ragioni del cuore? Non succede, in taluni casi, di dare uno spazio sproporzionato alla parola, piatta e banalizzata, dimenticando che alla liturgia appartengono parola e silenzio, canto e musica, immagini, simboli e gesti? E non appartengono, forse, a questo molteplice linguaggio che introduce al centro del mistero e, dunque alla vera partecipazione, anche la lingua latina, il canto gregoriano, la polifonia sacra?

Quale musica per la liturgia

Non compete a me addentrarmi direttamente in ciò che attiene la musica sacra o liturgica. Altri, con più competenza, tratteranno l'argomento nel corso dei prossimi incontri.
Ciò che, però, mi sta a cuore sottolineare è che la questione della musica liturgica non può essere considerata indipendentemente dall'autentico spirito della liturgia e, dunque, dalla teologia liturgica e della spiritualità che ne consegue. Quanto, allora, si è andato affermando - ovvero che la liturgia è un dono di Dio che a Lui ci orienta e che, mediante l'adorazione, ci permette d'uscire da noi stessi per unirci a Lui e agli altri - non solo cerca di fornire alcuni elementi utili alla comprensione dello spirito liturgico, ma anche elementi necessari al riconoscimento di ciò che davvero può dirsi musica e canto per la liturgia della Chiesa.
Mi permetto, al riguardo, solo una breve riflessione orientativa. Ci si potrebbe domandare il motivo per cui la Chiesa nei suoi documenti, più o meno recenti, insista nell'indicare un certo tipo di musica e di canto come particolarmente consoni alla celebrazione liturgica. Già il Concilio di Trento era intervenuto nel conflitto culturale allora in atto, ristabilendo la norma per cui nella musica l'aderenza alla Parola è prioritaria, limitando l'uso degli strumenti e indicando una chiara differenza tra musica profana e musica sacra. La musica sacra, infatti, non può mai essere intesa come espressione di pura soggettività. Essa è ancorata ai testi biblici o della tradizione, da celebrare nella forma del canto. In epoca più recente, il Papa san Pio X fece un intervento analogo, cercando di allontanare la musica operistica dalla liturgia e indicando il canto gregoriano e la polifonia dell'epoca del rinnovamento cattolico come criterio della musica liturgica, da distinguere dalla musica religiosa in generale. Il concilio Vaticano II non ha fatto che ribadire le stesse indicazioni, così come anche i più recenti interventi magisteriali.
Perché, dunque, l'insistenza della Chiesa nel presentare le caratteristiche tipiche della musica e del canto liturgico in modo tale che rimangano distinti da ogni altra forma musicale? E perché il canto gregoriano come la polifonia sacra classica risultano essere le forme musicali esemplari, alla luce delle quali continuare oggi a produrre musica liturgica, anche popolare?
La risposta a questa domanda sta esattamente in quanto abbiamo cercato d'affermare in merito allo spirito della liturgia. Sono proprio quelle forme musicali - nella loro santità, bontà e universalità - a tradurre in note, in melodia e in canto l'autentico spirito liturgico: indirizzando all'adorazione del mistero celebrato, favorendo un'autentica e integrale partecipazione, aiutando a cogliere il sacro e, quindi, il primato essenziale dell'agire di Dio in Cristo, consentendo uno sviluppo musicale non disancorato dalla vita della Chiesa e dalla contemplazione del suo mistero.
Mi sia permessa un'ultima citazione di Joseph Ratzinger: "Gandhi evidenzia tre spazi di vita del cosmo e mostra come ognuno di questi tre spazi vitali comunichi anche un proprio modo di essere. Nel mare vivono i pesci e tacciono. Gli animali sulla terra gridano, ma gli uccelli, il cui spazio vitale è il cielo, cantano. Del mare è proprio il tacere, della terra il gridare e del cielo il cantare. L'uomo però partecipa di tutti e tre: egli porta in sé la profondità del mare, il peso della terra e l'altezza del cielo; perciò sono sue anche tutte e tre le proprietà: il tacere, il gridare, il cantare. Oggi (...) vediamo che all'uomo privo di trascendenza rimane solo il gridare, perché vuole essere soltanto terra e cerca di far diventare sua terra anche il cielo e la profondità del mare. La vera liturgia, la liturgia della comunione dei santi, gli restituisce la sua totalità. Gli insegna di nuovo il tacere e il cantare, aprendogli la profondità del mare e insegnandogli a volare, l'essere dell'angelo; elevando il suo cuore fa risuonare di nuovo in lui quel canto che si era come assopito. Anzi, possiamo dire persino che la vera liturgia si riconosce proprio dal fatto che essa ci libera dall'agire comune e ci restituisce la profondità e l'altezza, il silenzio e il canto. La vera liturgia si riconosce dal fatto che è cosmica, non su misura di un gruppo. Essa canta con gli angeli. Essa tace con la profondità dell'universo in attesa. E così essa redime la terra" (Cantate al Signore un canto nuovo, pp. 153-154).
Concludo. È ormai da alcuni anni che nella Chiesa, a più voci, si parla della necessità d'un nuovo rinnovamento liturgico. D'un movimento, in qualche modo analogo a quello che pose le basi per la riforma promossa dal concilio Vaticano II, che sia capace di operare una riforma della riforma, ovvero ancora un passo avanti nella comprensione dell'autentico spirito liturgico e della sua celebrazione: portando così a compimento quella riforma provvidenziale della liturgia che i padri conciliari avevano avviato, ma che non sempre, nell'attuazione pratica, ha trovato puntuale e felice realizzazione.



Visto em: L'Osservatore Romano - 18 novembre 2009

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